Atto d'accusa contro ogni forma di ingiustizia - Giornale periodico on line a carattere politico e culturale

Dopo cinquantanni dall’inabissamento nei mari della Calabria e della Somalia i materiali radioattivi emergeranno con tutta la loro potenza distruttiva
Presentiamo l’articolo pubblicato dal titolo "RIFIUTI TOSSICI ALLARME IN CALABRIA”. Di Niccolo Zancan del giornale  “La Stampa.it” del 10 settembre 2011

ilaria-miranjolly-rosso-insertPremettiamo che il DIBATTITOnews ha pubblicato per anni tutta la drammatica cronaca giudiziaria dei rifiuti  radioattivi  gestiti dal faccendiere Comerio. In questo contesto criminale ha trovato la morte in Somalia la giornalista di RAI 3 Ilalia Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin. La giornalista era sul punto di scoprire i siluri pieni di materiale radioattivo  confezionati da Comerio e sparati nei mari della Somalia. E vi ha trovato la morte il Capitano Natale De Grazia anche lui sulle tracce dei criminali.

francesco-neri-insertnatale-de-grazia copiaalberto-cisterna-insertLe indagini sono state condotte fin dal primo momento dal coraggioso Dr. Francesco Neri all’epoca sostituto procuratore presso la pretura penale di Reggio Calabria. Il Dr. Bruno Scuderi, all’epoca capo di quella pretura trasmise tutti gli atti di indagine alla procura di Reggio Calabria.  Gli atti furono dati al sostituto procuratore Alberto Cisterna. Atti finiti nelle sabbie mobili.

Da informazioni ci risulta che il Direttore del DIBATTITOnews Dr. Francesco Gangemi  avrebbe deciso di ripubblicare tutta la tragica e terribile storia dei rifiuti radioattivi che peraltro sono stati inabissati assieme alla carretta del mare da Isola Capo Rizzuto a Capo Spartivento. Risulta come già esposto sul DIBATTITOnews , che i rifiuti radioattivi sono stati depositati nelle grotte che da San Luca vanno a Platì, grotte che non risultano nelle mappe  militari.

Il direttore

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Ecco l’articolo annunciato di Niccolò Zancan "lastampa.it". Le immagini inserite e il grassetto dei nomi sono a cura di J'Accuse... !:

"RIFIUTI TOSSICI ALLARME IN CALABRIA - La galleria radioattiva Ecco le prove dell'orrore   Contatori impazziti: la rilevazione all’interno della galleria rivela livelli di radioattività quattro volte superiori al normale Un geometra racconta:
«Discarica nel cemento» E c’è un nuovo pentito


10/09/2011 - NICCOLÒ ZANCAN INVIATO A REGGIO CALABRIA
Nel mare e nel cemento. Per lunghi anni disgraziati la Calabria è stata la pattumiera d’Europa. Fra lo Ionio e l’Aspromonte sono stati smaltiti quintali di rifiuti tossici e radioattivi. È stato il lavoro ordinario di capitani e marinai, operai e geometri. Un affare ben retribuito e conosciuto, almeno in parte, dai nostri servizi segreti. Perché questa è una storia delicatissima e tipicamente italiana, non si chiarisce e neppure si estingue. Dopo lo strano infarto che ha stroncato il Capitano Natale De Grazia, mentre stava indagando sulla motonave Jolly Rosso incagliata sulla spiaggia di Amantea (1991). Dopo le dichiarazioni mai riscontrate, eppure molto dettagliate, del pentito di ’drangheta Francesco Fonti (2004). Ora due nuove voci, che la Stampa è in grado di documentare, si aggiungono al coro. E sono voci che fanno paura. Ha parlato del traffico di rifiuti radioattivi, in almeno due verbali, il pentito principe della ’ndrangheta. Principe perché di alto livello gerarchico, a differenza di Fonti.

antonino-lo-giudice copiafrancesco-mollace-insertPrincipe perché Antonino Lo Giudice detto «il nano», solo per un problema di statura, finora si è rivelato estremamente attendibile. Arrestato ad ottobre del 2010. Si è autoaccusato degli attentati intimidatori contro la procura di Reggio Calabria. «Lo Stato non si stava dimostrando abbastanza riconoscente», ha spiegato con calma. Poi ha iniziato a parlare. Di tutto. Delle cosche. Dei nuovi rapporti di potere legati al clan Condello. Ha svelato omicidi e affari. Ha fatto arrestare un capitano dei carabinieri, Gaspare Spadaro Tracuzzi, per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ha messo nei guai avvocati. Fatto iscrivere nel registro degli indagati anche un magistrato in carriera come Francesco Mollace, uno dei due vice procuratori nazionali antimafia. Insomma, Antonino Lo Giudice ha dimostrato di avere molte storie da raccontare. E ha iniziato a parlare anche dei veleni che sono stati seminati in Calabria: «Essendo, diciamo, in amicizia con l’avvocato Gatto e sapendo io che si stava interessando di questo fatto ha messo a verbale - mi ricordai che Pasquale Condello mi disse che c’era questo Galimi - che ha un’agenzia automobilistica nel quartiere Pentimele - che era stato fermato nei pressi di Platì o di San Luca. Con lui c’era il comandante di una nave di Reggio Calabria: stavano andando a trattare, diciamo, cose radioattive per buttarle a mare». Sono le navi a perdere. Sarcofagi immondi. Carrette colate a picco nel mare turchese, che richiama turisti e brutti pensieri.

Secondo le nuove rivelazioni, la zona interessata sarebbe quella davanti a Saline Joniche. Particolare non secondario. Perché tre anni fa, su indicazione di Francesco Fonti, gli investigatori erano andati a caccia di un relitto sul versante opposto. Ma la carcassa inabissata di fronte a Cetraro si era rivelata la vecchia nave passeggeri Catania, affondata nel 1917 durante la prima guerra mondiale. Erano tutti presenti, quel giorno, anche il ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo. A celebrare lo scampato pericolo. Ma ora il pentito Lo Giudice indicherebbe altre coordinate. Altri tratti di mare interessati.

Diverse le navi affondate piene di scorie. Una pratica quasi banale. Un tipo di lavoro così diffuso e tenuto ben nascosto che solo adesso, dopo sei anni, si scopre un documento firmato da un geometra residente in un piccolo paese della zona. Ha 84 anni, si è ritirato a vivere in montagna. Di quello che ha dichiarato, in un colloquio investigativo reso davanti a un investigatore della Direzione Nazionale Antimafia, non vuole più parlare. Eppure lui era a conoscenza di questo fatto: «Certe volte, quando l’affondamento in mare si rivelava troppo complicato, si usavano le tumulazioni nel cemento».
 

galleria-radiazioniIl geometra ha parlato nello specifico della galleria Limina, 3 chilometri e 700 metri, sulla strada statale 682 che collega i due mari. Da Rosarno a Gioiosa Jonica. L’ultimo tratto, proprio quello della galleria, è stato ultimato nel 1992. Lì, secondo il suo racconto, sarebbero stati tumulati rifiuti radioattivi. Impastati nel cemento e poi inaugurati in pompa magna. Una rivelazione su cui - questo è l’aspetto più straniante - nessuno avrebbe mai fatto accertamenti. Parole che giacevano da sei anni negli archivi investigativi, come lettera morta. Senza alcuna pretesa di scientificità, possiamo dire questo: all’imbocco della galleria Limina in direzione Tirreno, con un piccolo contatore geiger, si registra una radioattività di 0,41 microsievert ora. Quando il fondo ambientale in Calabria - il livello normale - oscilla fra 0,10 e 0,20. Sul versante opposto le alterazioni sono meno evidenti: 0,31. Altre gallerie della zona non fanno riscontrare lo stesso sbalzo. Va detto subito: 0,41 non è indice di pericolosità. Ma è anche vero che un metro di cemento basta per schermare in massima parte le radiazioni. Resta il dubbio se possa essere un piccolo indizio. Una conferma alle parole del geometra. A Mammola nessuno ama parlare della galleria, anche se in molti in paese hanno lavorato per costruirla. È uno di quei posti dove nel giro di due minuti ci si sente degli intrusi. Alla fine un ex operaio in pensione, seduto sulla panchina della piazza, ricorda: «Di scorie e rifiuti tossici qui nessuno sa nulla. Ma posso dire che quella galleria è piena d’acqua e roccia friabile tutta uguale. È costruita solo con cemento, centine e tronchi di pioppo. Non ha impermeabilizzazione». Ecco, nel mare e nel cemento.
 

giuseppe-pignatone copiaIl procuratore capo di Reggio Calabria, quello a cui erano destinati i bazooka piazzati da Lo Giudice, non si nasconde. Giuseppe Pignatone è qui da due anni: «Quello dei veleni è un tema su cui abbiamo la massima sensibilità - spiega - saranno fatti tutti gli accertamenti. Lasceremo nulla di intentato. In passato però, mi è parso di capire, spesso il problema è stato trovarsi di fronte a segnalazioni troppo generiche». Molti sapevano. Come dimostrano i documenti riservati numero 488/1 e 488/3 - consegnati da Giorgio Piccirillo, il direttore dell’Aisi (Agenzia di informazione e sicurezza interna), alla commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti. Era il 12 luglio. Documenti attraverso i quali, finalmente, venivano scoperte alcune carte: «Fin dal 1992 il servizio avrebbe acquisito notizie fiduciarie relative all’interesse del clan Mammoliti, in particolare i fratelli Cordì, per lo smaltimento illegale di rifiuti radioattivi, che sarebbero pervenuti sia dal centro, sia dal nord Italia, ma anche da fonti straniere». La Calabria era il posto giusto per risolvere questo tipo di problemi. Nel senso che la ’ndrangheta avrebbe trattato il tema alla stregua di un qualsiasi altro affare. E infatti: «Informatori del settore non in contatto tra loro - quindi fonti diverse che riportano la stessa informazione - hanno riferito che Morabito Giuseppe, detto Tiradiritto, previo accordo raggiunto nel corso di una riunione tenutasi recentemente con altri boss mafiosi, avrebbe concesso in cambio di una partita di armi, l’autorizzazione a far scaricare nella provincia di Africo un quantitativo di scorie tossiche presumibilmente radioattive». Quel giorno di luglio, il presidente della commissione, Gaetano Pecorella, ha dichiarato: «Vi è una serie di notizie che ci paiono di specifico e rilevante interesse per indagini in materia di rifiuti radioattivi. Rifiuti che sono stati - secondo notizie sempre molto ricche ma poco verificate fino ad ora - occultati soprattutto in Calabria». È il succo velenoso della storia: notizie molto ricche ma poco verificate. A chi è convenuto? "

Niccolò Zancan



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